giovedì 5 ottobre 2017

Leggero ed economico: il coroplast

Introduzione al Plasticonda: come creare carenature leggere ed economiche per trike e quad




DODECALOGO DEL PLASTICONDA

Di Giacomo Righi

CHE COS'È 
Plasticonda o polionda, noto anche come coroplast, è una lastra estrusa di polipropilene alveolare addittivato di una piccola percentuale di gomma e pigmenti per dare diversi colori. È distribuito normalmente nei centri bricolage, di solito nel formato di spessore 2,5 mm per un peso di 500 g al metro quadrato, in fogli piani di formati 2x1 m, 1,5x0,5 m, 1x0,5 m e 0,5x0,5 m.




TAGLIO



Il plasticonda si taglia facilmente con un normalissimo taglierino, ma diventa difficile realizzare un taglio dai contorni regolari se l'angolazione tra la linea del taglio e gli alveoli interni alla lastra di plasticonda è piccolo, da pochi gradi fino a circa 30°. Per migliorare il risultato si può ricorrere a un righello, ma soprattutto bisogna evitare di praticare il taglio in un'unica passata: meglio fare uno o due passaggi preliminari solo per tagliare la parete superiore, poi numerose passate per tagliare le pareti interne che dividono gli alveoli, fino a raggiungere la parete opposta. In generale, tenere il taglierino meno angolato possibile rispetto alla lastra aumenta la precisione dell'operazione.


In alternativa si può usare tutta una serie di utensili elettrici. Tra tutti, quello con cui ho ottenuto i risultati migliori, viene purtroppo definito comunemente "utensile universale": si tratta di un apparecchio che fa compiere numerose oscillazioni al secondo a una lama, ma anziché avere un movimento lineare (come un seghetto per intenderci) ha un movimento rotatorio, lungo un arco di pochi gradi. La lama più efficace è quella per legno, ma anche quella per alluminio e altri metalli va bene; il plasticonda si taglia come se fosse burro e si possono realizzare sagome precisissime senza il problema che si ha col taglierino ad angoli bassi rispetto agli alveoli. Si possono anche realizzare tagli non perpendicolari alla superficie, se ce ne fosse bisogno, con un risultato sempre molto preciso. Unica controindicazione è che sulla linea di taglio restano attaccati piccoli frammenti di materiale, che si possono comunque rimuovere facilmente con le mani o con  forbici e taglierino.


Se serve praticare fori a scopo di fissaggio è consigliabile usare un punteruolo, o un cacciavite un po' affilato, ma in generale è bene rimuovere meno materiale possibile perché contribuisce alla tenuta. Con il saldatore a stagno si realizzano fori molto precisi dal bordo già rinforzato ma... aerate bene il locale!

PIEGATURA
Per piegare il plasticonda è sempre meglio inciderlo (senza necessariamente tagliarlo) con uno spigolo vivo. Si può usare un listello premuto con forza sulla superficie interna alla piega, o un cacciavite/punteruolo/coltello non affilati fatti scorrere lungo la superficie. Il secondo metodo è preferibile quando la piega è parallela agli alveoli, il primo quando serve che la piegatura segua con precisione una linea diritta diversamente orientata. Listelli lunghi potrebbero richiedere molto sforzo, ma si possono anche usare listelli più corti e fare l'impronta per la piega in più segmenti.






In caso la piega sia parallela agli alveoli, se una volta realizzata dovrà mantenere un angolo di 90° o più acuto, è bene incidere due alveoli vicini o meglio ancora non incidere l'alveolo corrispondente alla linea di piega, ma incidere i due accanto (se lo spazio a disposizione lo consente). In ogni caso è sempre bene snervare il materiale facendo temporaneamente una piega più accentuata di quella definitiva.


CURVATURA





Inarcare il plasticonda è possibile ma il raggio che si può ottenere dipende dalla situazione. Un settore di cilindro con gli alveoli perpendicolari all'asse della cilindricità si può realizzare anche a freddo, raggio minimo circa 20 cm (attenzione, il raggio effettivo dipende dalla temperatura ambiente) ma tenderà a raddrizzarsi elasticamente. 
Aiutandosi con un getto di aria calda è possibile dare curvature permanenti fino a raggi di circa 20 cm, che mantenute sotto sforzo possono scendere ancora di diversi centimetri. Risultati estetici migliori si ottengono scaldando la superficie esterna alla curvatura. La temperatura ideale è a metà tra un asciugacapelli o stufetta e una pistola termica: nel primo caso è utile avvicinare molto lo strumento alla superficie del plasticonda, per parzializzare il flusso d'aria e renderlo più caldo, nel secondo caso occorre stare attenti alla distanza per non surriscaldarlo. 
Se la cilindricità da ottenere invece è parallela agli alveoli è sconsigliabile curvare a freddo, pena cedimento improvviso e incontrollato sotto forma di pieghe nette e irregolari. L'incurvatura a caldo è possibile, ma con raggio maggiore rispetto al caso degli alveoli perpendicolari. Se sono necessarie curvature strette con gli alveoli paralleli alla cilindricità, conviene realizzare una serie di piegature parallele agli alveoli a intervalli regolari; questa tecnica, che permette raggi anche molto stretti, toglie però rigidità al materiale, che quindi avrà bisogno di nervature o telai di sostegno aggiuntivi.

BOMBATURA



Non è possibile creare superfici bombate regolari con il plasticonda. È tuttavia possibile creare forme che si avvicinano a superfici bombate tagliando il materiale a spicchi dai bordi curvi; naturalmente l'esatta forma degli spicchi è piuttosto difficile da ricavare. Tuttavia realizzare una forma a cupola è abbastanza semplice se si immagina di sezionare la cupola perpendicolarmente al suo asse a diverse altezze: identificando le misure di ciascuna sezione si può ricavare l'andamento di ciascuno spicchio. Per forme più complesse si può procedere per tentativi con fogli di cartoncino oppure affidarsi a un CAD 3D.

INCOLLAGGIO



 Per incollare il plasticonda è indispensabile ricordare che la superficie è ricoperta da una impercettibile patina untuosa che rimane depositata sul materiale in fase di estrusione. Questa patina rende inefficace la maggior parte delle colle, oltre al fatto che trattandosi di polipropilene ci sono molte colle inadatte al materiale stesso. La soluzione che ho trovato più efficace è graffiare la superficie con una serie di incisioni fitte e incrociate: si può usare un qualsiasi oggetto metallico appuntito come un cacciavite o un taglierino, eventualmente anche una grattugia o una lima per legno, mentre la carta vetrata è meno adatta perché tende a lasciare la superficie polverosa. La scelta della colla va fatta tenendo bene a mente che il plasticonda è morbido ed elastico; quindi per esempio il cianoacrilato, che a patto di aver reso la superficie ruvida dà un incollaggio forte, può screpolarsi all'interno in seguito ad eventuali sollecitazioni e perdere parte della sua efficacia. La colla che finora si è dimostrata più efficace è la "neoprenica per contatto", per fare un esempio il Bostik Superchiaro. Questa colla ha tre difetti: il tempo abbastanza lungo di posa, le esalazioni tossiche, e il fatto che non permette riposizionamenti quando si uniscono le superfici. È una colla che va spalmata in strato sottile uniforme su entrambe le parti, va lasciata asciugare per 10 - 20 minuti e poi le parti vanno premute con forza una contro l'altra. 
Se le sollecitazioni che agiranno sulle parti incollate non saranno intense, è possibile anche fare a meno della raschiatura superficiale. Un'alternativa efficace e più rapida da applicare è la colla a caldo, che però va provata prima su un campione perché non tutte le colle a caldo sono ugualmente efficaci e alcune sono più adatte a lavoretti di cartoleria piuttosto che di bricolage. Il tempo di posa scende a circa un minuto e la si può usare anche per fare riempimento, dove le parti da incollare non aderiscono perfettamente l'una all'altra. 
A metà strada tra gli incollaggi e i collegamenti puramente meccanici ci sono i fissaggi con biadesivo: in questo caso non conviene rendere ruvida la superficie, bensì pulirla bene sfregandola con forza con un panno o carta privi di unto. In teoria va bene anche uno sgrassante, ma l'alcool denaturato si è dimostrato stranamente meno efficace del previsto, e con altri solventi c'è il rischio di reazioni chimiche impreviste. Consigliabili i biadesivi per moquette, specie nelle zone non destinate ad esposizione protratta al sole; dove è accettabile che l'incollaggio aumenti lo spessore e che sia in parte elastico, va bene il biadesivo spugnoso permanente (3M sembra essere il più efficace). Se il tipo di fissaggio lo consente, si può anche usare il cosiddetto nastro americano, anche questo con l'accortezza di pulire bene le superfici prima, di efficacia superiore al semplice nastro telato (che è molto più pesante senza essere molto più robusto) e al nastro adesivo sottile (più debole). 
In ogni caso, ovunque l'unione di due parti è destinata a subire sollecitazioni meccaniche di una certa importanza o vibrazioni, bisogna sempre considerare di aggiungere almeno un collegamento meccanico a quello chimico.

FISSAGGI MECCANICI





Quando si procede a realizzare fissaggi di tipo meccanico sul plasticonda, è importante ricordare che si tratta di un materiale elastico, le cui lastre sono abbastanza rigide in virtù della struttura alveolare, ma che è fatto da strati sottili, localmente piuttosto deboli. Quindi, a meno di fissaggi destinati a sopportare sollecitazioni deboli, bisogna ricordare di cercare sempre di coinvolgere l'area più ampia possibile circostante al fissaggio stesso. 

Il sistema che ho trovato essere il miglior compromesso tra peso - ingombro - tenacia è una sorta di cucitura con le fascette di nylon, quelle per elettricisti. Le misure più adatte sono da 2 a 3,5 mm, ma anche più grandi se il fissaggio lo richiede, sebbene in genere è più sicuro aumentare il numero di fascette piccole piuttosto che usarne di molto larghe. Le fascette da 2 o 2,5 mm si possono anche far scorrere all'interno degli alveoli, se necessario. 

Il sistema di fissaggio puramente meccanico più elementare, sia del plasticonda su un qualsiasi oggetto sia su sé stesso, è praticare due fori vicini e inserire una fascetta che "cuce" la parete alla parte su cui va fissata. L'ideale è che tra i due fori sia presente un intero alveolo, o almeno una parete che separa due alveoli: questo perché, se la fascetta preme sulle sole superfici esterne, queste si possono strappare più facilmente. Nel caso serva fissare una superficie di plasticonda su un'altra, o su una diversa superficie di materiale poco robusto, bisogna fare attenzione perché, se si include un numero elevato di alveoli tra i due fori, è facile corrugare le superfici quando si tira la fascetta. Se si rende necessario realizzare un collegamento molto solido, o se è proprio impossibile includere una parete divisoria tra alveoli all'interno della cucitura, è consigliabile inserire un'anima interna negli alveoli su cui la fascetta farà presa; si può usare uno spezzone di filo di ferro zincato, oppure dell'acciaio armonico (se destinato a non essere bagnato), o ancora meglio gli avanzi delle stesse fascette di nylon, tenendo da parte le eccedenze che si tagliano via dopo averle tirate. Se è necessario sfondare le pareti interne che dividono gli alveoli bisogna usare un cacciavite a lama, meglio se affilato e lungo, col gambo di diametro 2 o 2,5 mm, eventualmente 3 mm per creare la sede di avanzi di fascette da 3,5 a patto di non superare la ventina di alveoli bucati, altrimenti non scorre più. Si può anche realizzare un utensile specifico, per esempio usando del filo in acciaio armonico a cui sagomare opportunamente la punta. 

Un'alternativa alle fascette è costituita dalle viti: si possono usare sia viti con dadi, sia autofilettanti. Data la scarsa resistenza del materiale se gli sforzi sono localizzati in aree piccole, è sempre bene usare delle rondelle laddove la testa della vite o il dado premono contro al plasticonda, con preferenza per le cosiddette grembialine (cioè quelle molto larghe rispetto al foro centrale). Le rondelle di nylon sono un valido compromesso per ridurre il peso e l'impatto estetico. Le viti autofilettanti hanno una presa molto legata al numero di filetti immersi nel materiale, ma generalmente non realizzano collegamenti particolarmente robusti. Fa eccezione il caso in cui le viti sono avvitate con il loro asse tutto annegato nella parete di plasticonda, soprattutto se attraversano numerosi alveoli; in questo caso ci vogliono viti di diametro esterno dei filetti tra 3,5 e 4,2 mm, e devono penetrare per almeno un paio di centimetri.
Sconsiglio invece l'uso dei rivetti, perché spesso capita che il loro schiacciamento, anziché intrappolare gli strati di plasticonda sotto la testa del rivetto, allarga il foro e non fa la tenuta desiderata.
In ogni caso, come già specificato, è sempre consigliabile abbinare collegamenti meccanici con collegamenti chimici: nastro biadesivo più fascette di nylon, colla più viti, e ogni altra analoga combinazione.

NERVATURE




Data la limitata resistenza meccanica del plasticonda soprattutto alle flessioni, creare rinforzi o strutture scatolate è spesso molto utile, rendendo necessario costruire delle nervature. Il sistema più elementare è appoggiare una superficie di plasticonda di costa su di un'altra e avvitarla dal lato opposto con viti autofilettanti; ovviamente vale quanto riportato in precedenza sulla tenuta delle viti autofilettanti usate in questa maniera. Se lo spazio disponibile lo consente, è preferibile ricavare mediante piegatura una "linguetta", di larghezza possibilmente non inferiore a 3 alveoli (una decina di millimetri), da fissare con i sistemi già descritti superficie su superficie. Se si realizza la linguetta occorre ricordare due cose: nel prendere le misure bisogna calcolare che in prossimità della piega lo spessore del materiale porta via circa 2,5 millimetri in entrambe le direzioni; inoltre le piegature hanno sempre la tendenza a cercare di raddrizzarsi elasticamente, quindi, se il fatto costituisce un disturbo, occorre compensare o con una ulteriore nervatura perpendicolare a entrambe le superfici o con una striscia di plasticonda piegata a L che rinforzi la piega, diventando di fatto una seconda linguetta simmetrica a quella esistente.


TEMPERATURA
Il plasticonda è relativamente robusto e rigido a temperature inferiori a 20°; sopra a questa soglia progressivamente rammollisce fino a rendere deboli strutture autoportanti (cioè ovunque non sia usato come semplice copertura di un telaio strutturato). Colori scuri esposti al sole peggiorano i rischi di surriscaldamento.

URTI
Il plasticonda se viene piegato o deformato oltre un certo livello tende a diventare bianco: parti soggette a urti o piegature e che hanno anche funzione estetica è bene che siano realizzate con colori chiari ed eventualmente verniciate in seguito, piuttosto che costruite con colori scuri.

RESISTENZA MECCANICA
 Non si può sperare di avere resistenza strutturale dal plasticonda a meno di creare strutture scatolate con numerose nervature, e comunque non è in genere in grado di sopportare sollecitazioni dirette legate alla massa di una persona.

VITA UTILE
 Sebbene da qualche parte ci sia scritto che ci sono tipi di plasticonda resistenti ai raggi UV, l'esposizione costante del materiale all'aperto ne provoca il deterioramento. Anche l'esposizione ripetuta a temperature molto basse (diversi gradi sottozero) sembra accorciare la vita utile. I fattori che causano il fenomeno però sono numerosi e vari, quindi non si può dare per scontata una durata sicura del materiale a priori; del resto il costo è relativamente basso. Può essere utile in fase di progetto considerare di facilitare la sostituzione delle parti realizzate in plasticonda, come per esempio preparando dime per replicare i pezzi o applicare semplici pannelli avvitati su un'intelaiatura autoportante.

FANTASIA



Questo è il paragrafo più importante. Il plasticonda è un materiale flessibile non solo fisicamente, ma anche per quanto riguarda i modi di lavorarlo. Tutto ciò che ho scritto qui, al di là delle caratteristiche del materiale, è in realtà solo una serie di linee guida basate sull'esperienza diretta; esperienza che è in continuo ampliamento, man mano che ci si continua a lavorare su e abbinare a materiali diversi (ad esempio blocchi sagomati di polistirolo espanso avvolti nel biadesivo sottile, oppure tubi in PVC fissati con biadesivo spugnoso e fascettati, o ancora profilati in alluminio incollati con la neoprenica e avvitati con le autofilettanti...) l'importante è non porre limiti alla fantasia, senza dimenticare di sperimentare su campioni prima di farne lavori definitivi. E poi condividere!

2 commenti:

jacklanterna ha detto...

Ai vari medoti descritti aggiungo anche quello che ho usato sulla mia F1 a pedali .
Con un vecchio saldatore da elettronica ho praticato dei fori del materiale sovrapposto . Il calore oltre a forare fonde insieme i 2 lembi nel punto di foratura aumentando un pò la tenuta . Con l'aggiunta di fascette da elettricista o brugole e bulloni ( a seconda del punto della carrozzeria) si ottiene una buona resistenza .
Nella parte inferiore ,dove ho usato il Polycolor i "fori saldati" tengono anche senza fascetta .

Marco Ruga ha detto...

Se hai qualche foto le possiamo pubblicare